Giuseppe Gallo: Il quinto quarto
“Grigio mattino. Primo
sbadiglio della ragione,
canto del gallo del positivismo.”
Nietzsche
Nell’ambito del ciclo di sei mostre dedicate agli artisti del “Gruppo di San Lorenzo” per festeggiare i dieci anni di attività e i centodieci della costruzione del Pastificio Cerere, il più dolce dei mesi primaverili è dedicato a Giuseppe Gallo, che ha inaugurato la mostra personale Il quinto quarto, in cui espone una scultura in legno di dimensione ambientale, due sculture in bronzo, due grandi dipinti e una serie di sette piccoli quadri.
La scultura – da cui il titolo della mostra – è composta da una struttura rettangolare di legni intrecciati che creano una parete autoportante che divide la sala in due parti, una “interiore”, quella più in ombra dove a nessuno è dato entrare, e una fisiologica delle “interiora” dove gli spettatori poggiano i piedi. Nel comunicato stampa è scritto:
“Il quinto quarto gioca con l’assonanza tra i termini interiora e interiore, quest’ultimo inteso nel suo senso filosofico di introspezione e analisi della propria identità. Dal nesso semantico tra interiora e interiore, cioè una parte di scarto, sporca contrapposta ad una nobile e preziosa, si rivela una possibile chiave di lettura dei lavori. Rimane costante la ricerca di un dialogo con la natura, che si risolve in un approccio al tempo stesso organico e geometrico, coadiuvato dal potere astrattivo del disegno. Su tutto (?) domina l’operare dell’artista, quella capacità di trasformazione alchemica che, molto vicina a quella del cuoco (!), sa trasformare-mutare attraverso tecnica, conoscenza e fantasia una parte considerata spuria in un cibo per palati sopraffini.”[1].
E speriamo proprio che sia solo “una possibile chiave di lettura” fra le molteplici - e forse più attraenti interpretazioni - che possono darsi. Da quel che si legge nella parte qui riportata del comunicato stampa verrebbe anche da pensare al fenomeno di cannibalismo. Se non fosse che per motivi di risonanze televisive di alcuni programmi che stanno andando molto di moda in questo periodo, ciò svela facilmente la scelta dell’accostamento tra la figura dell’artista con quella del cuoco.
Questo spazio fisiologico accessibile ai visitatori è emblematicamente simboleggiato da un rotolo di carta igienica sostenuto a parete da una scultura in bronzo che cita la Colonna senza fine (1918) di Costantin Brancusi. Con questi due oggetti in relazione (uno d’uso comune e l’altro fabbricato artigianalmente dall’artista – e/o dai suoi assistenti) Gallo propone una dicotomia tra Marcel Duchamp e Brancusi. Srotolando la carta igienica, su ogni foglio sono stampigliate figure e frasi - apparentemente casuali – ma che in realtà sottolineano i molteplici nessi semantici tra interiore e interiora su cui gioca l’ironia di Gallo: “GALLO È PAZZO”, “DONNA PAGANA”, “L’AMORE È UN LIMONE”, “NON PIANGERE PIU AMORE MIO” .
Nel suo gioco linguistico Gallo fa intervenire le due somme personalità artistiche - Brancusi e Duchamp – per ben altre due volte. Nell’opera Dialogo tra due gemelli (2015), una serie di sette piccoli quadri in cui vi è un confronto diretto tra le due figure attraverso citazioni letterarie e figurative che Gallo costruisce sottoforma di dialogo. Infine nella scultura in bronzo Michelangelo che sogna Brancusi (2012), i due elementi che la compongono richiamano forme archetipali: si tratta di una maschera, che riproduce un ritratto di Michelangelo eseguito dal suo allievo Daniele da Volterra nel 1564, e un elemento dalla forma allungata che Gallo fa materializzare sulla fronte della maschera, come un sogno premonitore, una chiaroveggenza dell’oggetto: la maschera senza-tempo sogna la Colonna senza fine dell’artista moderno.
Ma questa volta a dialogare col maestro Brancusi è un artista rinascimentale e, infatti, varcata la soglia della porta su cui campeggia la scultura, troviamo due grandi dipinti del 2015 che fanno riferimento all’idea della proporzione aurea, del numero perfetto, dell’ordine ideale. La dimensione in cui forse Gallo vorrebbe condursi e condurci è forse quella del sacro/carnale: ma in che senso?
Se, come si legge nel comunicato, il termine “interiora” è inteso primariamente nel senso positivista e razionalista di scarto, allora la sacralità del territorio “interiore” sarà scartata insieme alle interiora, oppure si trova altrove? Ragionando sui termini “interiore-interiora” mi chiedo che tipo di relazione intercorra fra i due? Soltanto di mera opposizione?
Poiché pare che “interiora” derivi etimologicamente dall’aggettivo comparativo latino interior-oris nella sua forma di neutro plurale - formato sulla preposizione in <<dentro>> - già solo nel suo significato etimologico originario “interiore e interiora” sono - per così dire - su una stessa superficie di registrazione di senso e sembrano dunque avere una relazione paritaria e statica (non di forza oppositiva), non si capisce bene da dove origini la traumatica separazione.
Ci si ritrova dunque ancora una volta sotto l’ombrellino del platonismo?
Con assoluto e puro spirito di servizio verso colui che impazzì ragionando su un lungo equivoco, concludo con le sue parole:
“Giorno chiaro, prima colazione, ritorno del bon sens e della serenità. Platone rosso di vergogna, baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi.”
Nietzsche
[1] I segni d’interpunzione in grassetto fra parentesi e le parole sottolineate sono aggiunti da chi scrive.